LINEARE-DIAGONALE

Lineare-Diagonale (Cesare milanese)

Il tema della pittura di Giovanni Battista Ambrosini nasce, prima di tutto, dalla grande dimensione dei quadri.
Più che di tele, si dovrebbe parlare di teleri: campi di impiego per le misure della vastità. Una vastità che deve essere vista come una descrizione della natura dello spazio. Il primo intendimento di Ambrosini sembra essere quello di far sottostare l’attenzione agli aspetti e ai concetti della spazialità. Sicchè la tendenza all’ampliamento della superficie del quadro sembra essere del tutto conseguente alla necessità di poter dare spazio allo spazio: il “corpo” astratto che questo pittore avrebbe assunto come suo oggetto di riferimento. E per spazio si intende esattamente lo spazio di cui è fatto il mondo, lo spazio che ci circonda: lo spazio come “corpo” cosmico.
Questo “contenuto”, a prima vista del tutto inaspettato, ad una prima lettura, è stato messo in evidenza da Ervedo Giordano, il quale, sul catalogo che accompagna la mostra personale Lineare-Diagonale, tenutasi nel marzo scorso alla galleria Miralli di Viterbo, dopo aver constatato che il discorso di Ambrosini si realizza mediante l’accostamento di più tonalità di nero, sviluppa un argomento muovendo da una base extrapittorica, che però egli riesce a ricondurre, come conclusione di significato, nell’ambito della soluzione segnica, introducendo la seguente constatazione: “Lo spazio (quello dell’universo) è privo di colore e l’uomo è sicuramente destinato a perdersi nella sua dimensione senza fine, se non ricorre alla più semplice e sicura espressione geometrica che gli è familiare: la retta”. E’ una frase che vale una interpretazione piena della pittura di Ambrosini.
Questa annotazione di Giordano sullo spazio cosmico come realtà che è priva di colore, rende naturale, per via scientifica, una lettura tematica di questo pittore, il quale, invece, se esaminato sul piano strettamente linguistico-espressivo sembra riferirsi a tutt’altra cosa. Infatti io sarei propenso a credere che l’interesse effettivo dell’artista, per quanto riguarda l’elezione del nero, privilegiato come colore assoluto, che domina la serie delle opere esposte alla galleria Miralli di Viterbo, sia dovuto a motivazioni prettamente linguistiche, quali il conseguimento della prescrizione dell’orientamento in senso riduzionistico, che lo porta ad adottare i colori del non-colore. Questo orientamento riduzionistico vale anche per la serie nuova di opere, ancora non esposte, ma che sono senz’altro ancora più significative; nelle quali, insieme al non-colore del colore nero, si impone il non-colore del colore bianco. Tuttavia va detto che l’indicazione tematica di Giordano, che “scopre” nello spazio in quanto spazio l’oggetto reale di riferimento della pittura di Ambrosini, risulta, considerata nella sua contestualità, del tutto convincente.
Questa lettura contestuale, posta quasi all’improvviso, diventa rivelativa di un portato emozionale inaspettatamente inquietante. E’ vero, lo spazio cosmico come tale, è un luogo senza luce. Ed è vero che l’uomo osa avventurarsi in esso perché riesce ad imporsi facendo ricorso a una sua modalità razionale, che è soltanto sua propria, l’imposizione della retta, la “forma” che non esiste in natura, perché è soltanto un concetto, perché è soltanto un modulo mentale. Però la retta che deriva dalla ragione geometrica (quindi modello scientifico), in quanto segno espressivo (quindi modello estetico), è il vettore primario di conduzione e di riduzione che porta sulla via dell’astrazione. E la via dell’astrazione è il processo di inizio e il processo di conclusione della pittura di Ambrosini.
La linea retta è il morfema con cui questo pittore costruisce le sue “figure”; ed è estremamente corretta la definizione di lineare-diagonale come resoconto del suo tipo di “immagine”. Questa vale sia per la serie del nero con il nero, sia per la serie del nero con il bianco. Questa seconda serie di opere, come si è già detto, rende ancora più evidenti le qualità portanti di un percorso che è fatto di rigore sempre attento alla ripartizione dei volumi della spazialità, in modo che le linee sappiano convergere verso la maestosità di un disegno di forze messe in equilibrio, malgrado la forzosità dei contrasti a cui vengono sottoposte, l’immagine complessiva di questa pittura è in effetti quella di una presa di impegno nei confronti di temi imperativi. Se il principale tema visivo è quello dello spazio, il principale tema concettuale è quello della forza.
E’ una forza sottoposta a una forma che è forte di per sè, in quanto sottoposta ad un linguaggio che intende essere semplice ed essenziale al maggior grado possibile. Scelta di una tendenza, che per Ambrosini è una maniera di mettersi in rapporto con le espressioni più recenti della pratica della riduzione quale è prevista dalla linea analitica, entro la quale naturalmente e culturalmente la sua pittura si inscrive. Certo è che il lineare estremamente rigido che costituisce la caratteristica del suo tipo di costruzione, può far apparire i suoi quadri come tabulae di assenza di quell’indispensabile elemento costituito, il perturbante, che la teoria della riduzione della linea analitica si attende sempre come elemento evidente. Ma il perturbante, in questo caso, se è assente come segno, si fa presente lo stesso come senso. Esso incombe lo stesso valendosi della sua stessa assenza; trattandosi qui di un’assenza di qualcosa che rinvia all’indicazione dell’essenza del vuoto, che è il “proprio” dello spazio. Ma che diventa anche il “proprio” di questo operare per assenza: ed è la messa in assenza del soggetto che opera.
Questa pittura che intenderebbe essere un energico ritorno alla impositività della forma e che in effetti ha la valenza che le deriva da un operare compiuto per riga e squadra, si fa attribuire da sè quale prodotto di un soggetto assente, del tutto impersonale. Ma è proprio qui che risiede il dato più inquietante, dovuto alla tranquillità apatica e indifferente con cui la rigorosa e rigoristica esecuzione del disegno si espone, quale risultato di una capacità di procedere anche in assenza delle spinte e delle controspinte dell’emozione. In tutto ciò sembra valere soltanto la semplicità della messa in esecuzione di un immaginario che da un lato ambisce alla facilità e che dall’altro si avventura nelle zone della grande arditezza con una indubbia nudità del sapere dell’animo, sia pur sorretta da un’accortezza stilistica che è frutto di studio e di cultura.
Ma dal momento che questa pittura non intende mostrare niente di più che la sua obbligatorietà stilistica ai doveri della precisione, essa non vanta mai allusioni a un presupposto non detto che la completi. Soprattutto non interferisce interpretativamente sull’oggetto che essa produce; sa essere personale anche in questo; sa restare al di qua dei significati che il suo, esposto ” in nudità”, comporta.
Ma questa ritenutezza, questa contenutezza nell’impiego dei mezzi e delle intenzioni, vale come elemento aggiuntivo di quell’operare impersonale che è la “scoperta” di Ambrosini come via del suo ritorno alla forma.
Cesare Milanese

 

 

 

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